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Un tappeto di colori, da Oriente a Occidente | Ilaria Guidantoni

Il tappeto evoca atmosfere orientali come anche il deserto e il mondo dei nomadi, dal Nord Africa alle steppe dell’Est, perché l’idea del tappeto di Corte, quello che immaginiamo più facilmente e che ha nutrito la fantasia collettiva è solo uno dei tappeti della storia. Lo sa bene Mirco Cattai, gallerista di Milano, titolare dell’omonima galleria a due passi da Piazza della Scala, studioso di tappeti antichi con una grande competenza in merito alle lavorazioni dei nomadi.

Nei tappeti il tema del colore in termini simbolici è legato soprattutto al verde che, essendo il colore sacro nell’Islam, viene escluso o almeno non reso predominante nella tessitura, perché́ non dovrebbe essere calpestato, mentre il rosso e blu sono i colori dominanti, soprattutto nei tessuti persiani. Naturalmente, è bene precisare, parliamo di tappeti antichi e tradizionali che, ha spiegato Mirco Cattai, arrivano fino alla seconda parte dell’Ottocento quando le committenze europee hanno condizionato gradualmente la produzione dei tappeti: questi hanno avuto “disegni più regolari, preparati sui cartoni, multipli, perdendo il senso dell’unicità̀ e scegliendo i colori; snaturando di fatto il tappeto originario”.

Il tappeto oggi resta comunque un sogno, quello del tappeto volante che è individuato, come ci ha raccontato, soprattutto da due componenti, rispettivamente il colore e il disegno; oltre la lavorazione, ad esempio la qualità̀ dei nodi. “Dai colori sono stato sempre affascinato e la mia prima suggestione, ci ha confessato, è stato nell’ora di religione a scuola, quando l’associazione del viola, dell’amaranto e del rosso era con il male; del giallo, azzurro e verde con il bene”. In realtà̀ come abbiamo raccontato nelle tappe precedenti di questo viaggio i colori sono molto più̀ complessi per il loro valore simbolico.

Il colore in generale è più importante nel tappeto caucasico e anatolico mentre in quelli persiani la complessità del disegno è dominante, salvo nella produzione nord-occidentale, con presenza di poche campiture ampie: il colore è ‘interrotto’ da disegni generalmente profilati di nero. “Una prima distinzione è quella tra il tappeto nomade e quello di corte, essendo quest’ultimo prezioso, più complesso nel disegno, molto disegnato per mostrare la lavorazione, con nodi particolarmente sottili. Il tappeto nomade è più̀ semplice ma per questo non meno affascinante”.
Il colore se non più̀ importante è comunque paritario nel valore rispetto al disegno nel tappeto. Ora non si tratta di fare una graduatoria tra i due elementi e appunto la lavorazione bensì̀ di evidenziare quanto il colore sia l’elemento di base del tappeto che potrebbe quasi esistere senza disegno ma ovviamente non senza colore; non solo, come ha raccontato Cattai, il colore è l’elemento preparatorio. A parte i pochi tappeti di Corte, soprattutto in India, tessuti anche con fili di seta, generalmente il tappeto è di lana. Alla fase della tosatura e filatura segue il bagno di colore in recipienti dove si intingono le matasse con soluzioni diluite.

tappeto Bordjialu
Tappeto Bordjialu. Caucaso della metà XIX secolo, Galleria MIrco Cattai

 

 

La tradizione della tintura dei tappeti varia moltissimo da zona a zona a seconda dei principi naturali presenti sul territorio ed in base alle tradizioni millenarie della popolazione o del gruppo etnico. In questa fase è determinante il tempo di permanenza a contatto con il colore per garantirne il risultato e la tenuta nel tempo che storicamente non era calcolabile in modo preciso come può̀ esserlo oggi.

Ora un elemento fondamentale per il tappeto è proprio il mantenimento del tono originario che – ha sottolineato il gallerista – in alcuni casi produce alterazioni e ossidazioni anche affascinanti. Il risultato nelle tinture naturali dipende dall’animale con un effetto analogo a quello di un trucco del viso identico su pelli diverse. In uno stesso bagno di colore, lane diverse non danno lo stesso risultato; così anche nel tempo il tipo di lana crea un effetto diverso sul colore. Il verde e il blu scuro sono ad esempio tra i colori più̀ difficili, soprattutto il primo, nel mantenere il tono. Il verde si ottiene miscelando i colori giallo e blu, il giallo ottenuto dallo zafferano costa tantissimo ed il blu intenso, in caso non si voglia complicarsi l’esistenza passando attraverso i processi dell’ossido di ferro, costa in termini di tempo, fatica e pazienza.

Più nel dettaglio, si può notare che i colori originariamente erano tutti naturali, di origine vegetale, animale e minerale, mentre dopo il 1890, con la scoperta del petrolio a Baku, sono stati scoperti i colori chimici, che tuttavia, a causa di divieti governativi, non sono stati utilizzati per un lungo periodo. L’oro nero inizialmente fu utile per sostituire le lampade a olio e poi per produrre i colori anelinici. Caratteristica di questi ultimi è una saturazione molto alta con un effetto piatto che nel tempo tende a sbiadire maggiormente e che non dà quella vibrazione emozionale del colore naturale.

Questo tappeto, che fa parte della copertina del catalogo dedicato ai tappeti anatolici caucasici persiani del XVIII e XIX secolo, è giustamente definito un quadro “verista” incorniciato nello stile caucasico. Presenta una conservazione impeccabile con abrashes, cambi di tonalità di colore che, non si sa se voluti, non potevano in tal caso risultare più azzeccati.

Quali sono i colori più̀ diffusi nei tappeti?
Certamente il blu e il rosso; seguiti dal bianco avorio sia nelle campiture sia nei bordi, a rischiarare e vivacizzare disegni a volte severi; giallo, marrone e cosiddetto nero che in realtà̀ è un marrone molto scuro; ma anche arancio, raro il melanzana; e, nei più moderni e in alcuni in seta, il rosa”.
Tipicamente persiane diverse tonalità di marrone, beige e cammello; mentre i numerosi verdi sono più ricorrenti rispetto all’Anatolia e al Caucaso. Usato con parsimonia il giallo; l’arancio, l’azzurro intenso e il rosa frequenti nei motivi. Il disegno è tra un giardino fiorito e un cielo stellato.
Il nero in realtà̀ è un marrone scuro ottenuto con il mallo di noce con una tecnica particolare che nel tempo non si altera o con l’ossido di ferro che però, alla lunga, corrode la lana e crea degli ‘scalini’ tattili.

Il bianco dipende sostanzialmente dall’animale non avendo dei solventi, difficili tra l’altro da trattare con la lana e probabilmente il bianco più candido è dato da componenti chimiche.

La radice della robbia, Rubia tinctorum, che cresce spontaneamente in molte regioni della Persia, in particolare nella provincia del Kirman dove veniva coltivata, poteva essere utilizzata per ottenere il rosso. A volte, si aggiungeva il dugh, acido lattico, per creare una tonalità di rosa con riflessi azzurrati. Il rosso poteva essere prodotto anche da altre piante meno comuni in Iran. In passato, venivano impiegate anche tinture animali come la cocciniglia, proveniente dall’India e utilizzata principalmente nella provincia del Kirman e del Khorasan, e il Kermes (di origine vegetale). L’indaco, l’acido nitroccinamico (di origine minerale) principalmente importato dall’India, la porpora (di origine animale), e infine le aniline o il cromo (di origine chimica) erano altre fonti per ottenere vari colori.

Il blu, come per altro tutti gli altri colori, a seconda della tonalità varia la sua composizione infatti le sfumature dipendono dalla miscelazione, tutt’altro che semplice; ad esempio, per ottenere un blu intenso quasi nero abbiamo due strade che porteranno a risultati leggermente differenti. Un primo sistema, il più diffuso, è quello di usare le foglie indicofile, portarle a temperatura, farle macerare, ottenere un azzurro intenso per poi scurirlo con l’ossido di ferro. Il blu intenso più scuro, più luminoso più bello forse è quello dei tappeti Keshan, ma soprattutto i Mohtashen (che rappresentano la più alta qualità di Keshan). Il lapislazzulo per i tappeti non è utilizzato a causa del costo e della macchinosità della realizzazione del colore mentre qualche volta in Turchia è utilizzata la polvere del turchese.

Tappeto Konia
Tappeto Konia. Anatolia seconda metà XIX secolo.
Galleria Mirco Cattai

Il processo preciso usato da questa manifattura del pieno XIX secolo non lo conosciamo, tanto vero che nessuno è più riuscito a ricreare un colore così. Sappiamo per certo però che per avvicinarci il più possibile a questa intensità di colore dobbiamo selezionare i fondi scuri, le rimanenze sul fondo delle vasche degli azzurri, secondo la tecnica usata nei Mahageran nei pressi di Sarouk.
Il verde si ottiene miscelando i colori giallo e blu, il giallo ottenuto dallo zafferano costa tantissimo ed il blu intenso, in caso non si voglia complicarsi l’esistenza passando attraverso i processi dell’ossido di ferro, costa in termini di tempo, fatica e pazienza.

Il giallo, è presente in due nuances molto diverse, lo zafferano o il limone, più brillante, prodotto oltre che con il conosciutissimo zafferano, con lo scotano, noto come albero della nebbia o sommacco. La reseda luteola che è una specie di pianta i cui nomi comuni includono razzo del tintore ed erbaccia del tintore; la ginestra il cui principio attivo è l’isoflavone; la curcuma nota come zafferano delle indie che in cucina non è buono come quello sardo ma tinge altrettanto bene; e il cartamo il cui colorante è la cartamina ed è noto con il nome di zafferanone. Ma anche l’erba guada oltre alle foglie di vite per ottenere una tonalità più accesa; infine anche le bucce della cipolla rilasciano un tenue giallo.

In particolare è apprezzabile nei tappeti il cosiddetto giallo Konya, che dà anche il nome a un tipo pregiato di tappeti lavorati nella omonima città della Turchia asiatica, Konya appunto, importante centro dell’arte medievale turca. Questi tappeti hanno ordito e trama di lana, superficie rasata. Il fondo generalmente rosso, con disegni azzurri e gialli appunto di vasi, fiori e foglie fortemente stilizzati come appare da alcuni esemplari conservati nel museo di Ístanbul e da altri rappresentati in opere figurative (ad esempio negli affreschi di Giotto a Padova).

L’arancione è prodotto dal melograno, Punica granatum, pianta autoctona in Iran in Caucaso e in tutte le zone orientali produttrici di tappeti; il lilla dal mirtillo.

Ilaria Guidantoni

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